IL GIOCO SIMBOLICO

IL GIOCO SIMBOLICO

Aug 08, 2023

Jessica Quadalti

Avete mai pensato al fatto che la nostra mente è in grado di produrre infiniti mondi possibili? 
La capacità dell'uomo di immaginare quello che non esiste e di essere intraprendente e creativo, è ciò che sta alla base di molte delle sue realizzazioni. 
Forse è per questo che Albert Einstein ha detto:
"L'immaginazione è più importante della conoscenza”.
La teoria della mente  ci spiega come la mente sia immersa all’interno del nostro corpo che, a sua volta, è situato in un ambiente vivo e stimolante, nel quale mente e corpo devono destreggiarsi per sopravvivere. 
La teoria della mente situata e radicata nel corpo prende spunto dalle ricerche di Antonio Damasio sul cervello umano.
Secondo Damasio, il cervello è destinato a creare mappe grazie all’interazione costante con l’ambiente. 
Le mappe cerebrali sono modelli nevrosi in continuo cambiamento poiché si modificano in corrispondenza dei cambiamenti e agli stimoli che l’ambiente intorno a noi può offrirci.
Quasi 20 anni fa, studiando il comportamento di alcune scimmie, un team di ricercatori italiani scoprì un particolare tipo di neuroni che definirono “neuroni specchio”. 
Studi successivi, effettuati con tecniche non invasive, hanno ipotizzato l'esistenza di neuroni specchio anche negli uomini. 
Sembrerebbe che questi meccanismi interessino diverse aree cerebrali, comprese quelle del linguaggio. 
I neuroni specchio permettono di spiegare fisiologicamente la nostra capacità di porci in relazione con gli altri. Quando osserviamo un nostro simile compiere un particolare gesto si attivano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando siamo noi a compiere quella stessa azione.
Attraverso l’imitazione dell’altro e la simulazione, il potere immaginativo che si esprime nel gioco crea le radici per uno sviluppo sano ed evolutivo
Nel bambino, infatti la funzione immaginativa è alla base della formazione delle strutture psichiche superiori: attraverso il gioco simbolico egli immagina e costruisce la realtà, ponendo così le basi per lo sviluppo di un pensiero razionale.
L’immaginazione creativa‍
Immaginare rappresenta una risorsa creativa presente in ognuno di noi, spesso , purtroppo, non  attingiamo a questa funzione, restando intrappolati nelle nostre familiari abitudini.
“Non tutte le prigioni hanno le sbarre: ve ne sono molte altre meno evidenti da cui è difficile evadere, perché non sappiamo di esserne prigionieri. Sono le prigioni dei nostri automatismi culturali che castrano l'immaginazione, fonte di creatività"
H. Laborit
L’immaginazione ci permette di:
entrare in contatto con ciò che ci manca nella realtà spingendoci verso l’azione;
sentire un certo senso di energia e motivazione;
avere opportunità concrete e realizzabili, rimanendo nell’ambito del possibile.
Le attività ludiche , ovvero il gioco, fondano le loro radici proprio sul potere dello strumento immaginativo e rappresentano una forma di espressione unica per il bambino sin dalla nascita, in quanto fonte di comunicazione, di espressione e soprattutto di apprendimento.
 Il bambino impara giocando, fa esperienza giocando, cresce giocando.
 E poiché non possiamo fare a meno di relazionarci con i nostri simili, il bambino impara tutto giocando, cresce giocando insieme agli altri.
A secondo dell'età, il bambino durante le attività di gioco fa conoscenza con la propria creatività, mette alla prova le sue capacità cognitive, sensoriali e motorie, scopre se stesso, entra in relazione con gli altri, coetanei e adulti; quindi, proprio per questo possiamo dire che il gioco favorisce lo sviluppo affettivo, lo sviluppo cognitivo, lo sviluppo senso-motorio e lo sviluppo sociale.
È importante che i bambini, a partire dai primissimi mesi di vita, possano fare esperienza di gioco e di relazione con gli altri, non solo con gli adulti accudenti, al fine di concretizzare al meglio la scoperta della realtà che li circonda, del desiderio, dello scambio, della cooperazione e anche della frustrazione dovuta ad esempio al dispiacere di dover attendere per avere un gioco che interessa, di attendere il proprio turno sull'altalena e così via.
Tipico dei bambini entro l'anno è il gioco solitario: infatti essi non si pongono in una condizione di reciprocità con gli altri e non presentano interesse per l'interazione sociale, amano quindi giocare per conto loro.
Fra il primo e il terzo anno di vita compare il gioco parallelo: i bambini si aiutano reciprocamente, ma si tratta essenzialmente ancora di un gioco individuale.

A partire dal secondo/terzo anno di vita emerge anche il gioco simbolico che comprende, ad esempio, il gioco della bambola, il gioco del dottore, il gioco a nascondino, come espressione delle dinamiche interne che il bambino sta vivendo, ma anche a riproduzione di ciò che vive nel suo ambiente. Attraverso questi giochi il bambino può anche drammatizzare un evento della sua vita esterna o interiore: la nascita di una sorellina o di un fratellino, una dinamica familiare, ma anche una punizione o proibizione subita, al fine di poterla comprendere e gestire.
Fra i quattro e i cinque anni il gioco diventa via via più sociale e di gruppo: si svolgono giochi più strutturati, con regole e maggior interazione sociale. Nelle famiglie numerose ciò può verificarsi anticipatamente.
 Fra i sei e i dieci anni, nell'età della fanciullezza, i giochi sono prevalentemente di gruppo e con regole. Questo permette al bambino di sperimentare lo stare con gli altri attraverso attività strutturate dove le regole diventano funzionali ad un miglior svolgimento delle stesse.
Il gioco simbolico 
L’esperienza del gioco, e il concetto stesso del gioco, rappresentano un tema che apre molte riflessioni sul significato della sua funzione e sul perché individui adulti sentano il bisogno, oggi forse più che in passato, di prolungare il tempo dei giochi infantili.
Il gioco può essere considerato un residuo evolutivo che garantisce all’essere umano, come negli animali, l’affinamento delle abilità necessarie a sopravvivere nel proprio ambiente, un modo per esprimere il surplus di energia. Secondo la psicanalisi (Freud, 1972; Winnicott, 1970; 1974), il gioco è una trasposizione simbolica dell’esperienza e dei contenuti emotivi del bambino, un modo per dominare mentalmente le cose, specie quelle problematiche, uno strumento fondamentale per superare l’angoscia.
Il bambino tramite il gioco fa esperienza della separazione e del ritorno alla base sicura e attraverso una drammatizzazione, in cui realizza il “ come se”, può riparare “la paura abbandonica.”
Possiamo definire il gioco simbolico come la capacità di rappresentare mediante simboli, immagini, nomi, pensieri, qualcosa che non è presente e che non si può percepire. Tale tipo di gioco, secondo Freud (1972), ha lo scopo di assicurare l’equilibrio emotivo della persona, come il sogno, e svolge una serie di funzioni “psicoterapeutiche”:
a. funzione identificatoria: fingendo di essere qualcuno (ad es. la bambina che indossa le scarpe di sua madre) il bambino si prepara ad assumere l’identità ed i ruoli dell’adulto.
b. funzione riparatoria e anticipatoria: il bambino si prepara a qualcosa di problematico o cerca di abbassare il livello ansioso dopo che l’evento problematico è avvenuto (ad esempio il bambino che deve andare dal dentista o che è stato dal dentista).
c. funzione compensatoria: si ha quando il bambino compensa un sentimento angoscioso o la percezione di una sottrazione affettiva attraverso la gestualità ludica. Famosa la descrizione freudiana del bambino che gettava un rocchetto, appeso ad un filo, dietro la spalliera del letto, facendolo poi ricomparire, per simulare l’uscita di casa ed il ritorno dei genitori ed alleviare, attraverso una drammatizzazione simbolica, la sua angoscia d’abbandono.
Winnicott (1972), parla di fenomeni transizionali o oggetti transizionali (copertina, capelli, filo di lana) che servono ad evocare simbolicamente il corpo materno ed a tranquillizzare il bambino che, da due anni in poi, comincia a distaccarsi dalla madre:
d. funzione rappresentativo-espressiva: il bambino, soprattutto fra i due ed i cinque anni, riesce a rappresentare la realtà soprattutto imitandola, non avendo ancora capacità di rappresentarla raffigurandola o raccontandola;
e. funzione di dominio e di controllo: il bambino, nel gioco, crea un mondo tutto suo che può costruire o distruggere a suo piacimento, per difendersi dalla realtà “vera” fatta di divieti e regole;
f. funzione manipolatrice: tutti i bambini sono attratti dalla manipolazione di materie primarie e plastiche, ricchi di significati simbolici (acqua, farina, sabbia). La manipolazione di tali elementi esprime bisogno di scaricare tensioni, di difesa dal mondo delle regole e dei divieti.
Il bambino è in grado di fingere e quindi apprende ad usare i simboli. Un simbolo è un oggetto che ne rappresenta un altro. 
Un esempio è il gioco creativo nel quale il bimbo usa, per esempio, una scatola per rappresentare un tavolo, dei pezzetti di carta per rappresentare i piatti ecc. Il suo ragionamento in questa fase non è né deduttivo, né induttivo, ma transduttivo o analogico, dal particolare al particolare. 
Ciò si traduce in una modalità di comunicazione piena di “libere associazioni” senza alcuna connessione logica in cui il ragionamento si sposta da un’idea all’altra rendendo pressoché impossibile una ricostruzione attendibile di eventi.
Per concludere 
Il gioco simbolico stimola la creatività, le capacità cognitive e di astrazione, rafforza l'autostima ed aiuta ad imparare le tecniche per autocalmarsi, autoconsolarsi ed imparare a superare in autonomia alcune difficoltà pratiche.
Da un punto di vista relazionale contribuisce allo sviluppo affettivo e comunicativo poiché determina una base creativa relazionale con l’altro, sia che si tratti del care giver con cui può divenire veicolo di comunicazione degli Stati d’animo e tessitura di un profondo legame, che con gli adulti non accudenti con cui crea relazione di fiducia e di sicurezza, affrontando “la paura dell’altro” e costruendo elementi di attribuzione di valore a sè stesso.
Il gioco è condivisione e complicità con i coetanei,  in cui il bambino può sperimentare il senso di appartenenza alla “creazione”realizzata insieme, così il gioco solitario è un sacro raccoglimento sulle proprie sensazioni fisiche e sulle emozioni,  preziosi strumenti di conoscenza di sè, rinforzo nello sviluppare una migliore capacità di autonomia.
E il tuo bambino a che gioco vuole giocare?
Puoi divertirti con lui, puoi lasciarti andare in mondi nuovi e curiosi e essere testimone del più meraviglioso processo di trasformazione che esista, la crescita evolutiva del tuo bambino!
Buon divertimento!
Lucia Cortecci 
Psicologa clinica, Psicoterapeuta e Istruttrice Mindfulness 
Centro Psicologia e Mindfulness 
Via Tripoli n 30 Grosseto 
3281477244